Roma 27.12.1904 – Buenos Aires 11.11.1942
“È bello pregare di fronte alla croce sola: alla terra e alla croce che ha redento la terra”
Il 27 dicembre 1904 nasce a Roma da Luigi Canovai, impiegato, e da Egeria Pezzolli, figlia di un sediario pontificio. Istruito dapprima in casa, poi al Ginnasio Liceo Visconti, ebbe un’ottima educazione umana e cristiana e ampliò la propria cultura umanistica e religiosa fin da giovane con letture sistematiche e varie. Si formò ad una seria ascetica che lo abituò presto ad un uso serrato del suo tempo, alla penitenza, alla custodia gioiosa della purezza. Di carattere gioviale e scherzoso come il padre, derivò dalla madre un serio e profondo senso della vita. Risultati eccellenti in tutti i suoi studi (quattro Lauree: in Filosofia, in Giurisprudenza, in Teologia e in Diritto Canonico) ma conservò sempre una schietta umiltà.
Nel 1924 muore il padre e Giuseppe deve iniziare a lavorare. Esaminandosi in un Corso di Esercizi, si rende conto che il Signore lo vuole sacerdote: si sente attratto dalla vita religiosa nella Compagnia di Gesù, ma non può entrare subito in noviziato perché, figlio unico, deve sovvenire alle necessità della mamma malata. Poco dopo lascia il lavoro e supplisce ospitando in casa giovani studenti, mentre la fedelissima domestica Rosa, che lo accompagnerà per molti anni, provvede a tutto. Iscrittosi poi ai corsi di Teologia della Gregoriana il Padre Enrico Rosa S.J. lo introduce all’Almo Collegio Capranica e lì, finalmente, il 3 maggio 1931 viene ordinato sacerdote. Fin da ragazzo aveva imparato a controllare il proprio lavoro interiore annotando in un diario personale giorno per giorno i fatti salienti della sua vita interiore ed esteriore.
Dopo i primi vari ministeri sacerdotali, Don Giuseppe Canovai si dedicò ad un ampio e fecondo apostolato intellettuale, per il quale era particolarmente dotato, in diverse città e istituti. Fu chiamato come minutante nella Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi. Nel 1936 incontrò nell’Opera Familia Christi un ideale nascente che gli prospettò la possibilità di darsi tutto al Signore nei voti religiosi di povertà, castità e obbedienza, pur rimanendo sacerdote diocesano. Tale incontro fece sì che egli si appropriasse di questo ideale con un entusiasmo ed uno slancio tali da renderlo interamente suo, e ne divenisse un esempio luminosissimo consacrando ad esso tutta la vita ed informando su di esso tutta la sua aspirazione interiore ed il suo apostolato. Dopo altri incarichi, nel 1937 fu nominato Assistente Diocesano della F.U.C.I. ed il suo magnifico zelo ottenne fra l’altro l’assegnazione di un terreno per la Cappella della Città Universitaria.
Inaspettatamente nel Maggio 1939 gli giunse la proposta di andare come Uditore di Nunziatura a Buenos Aires. Questo significava abbandonare l’Opera e i suoi giovani, il suo ministero: tutto ciò che aveva di più caro, ma seppe, ancora una volta, dire il suo libenter, libentissime al Signore. Andò in Argentina scrivendo così nel Diario i suoi sentimenti: “…proposito fermo di donarmi per il bene della Chiesa in questo Paese”. E si dedicò con così generoso zelo al suo nuovo incarico da conquistarsi l’affettuosa stima del Nunzio, Sua Eccellenza Mons. Giuseppe Fietta, e da riuscire molto presto a dedicarsi anche a vari ministeri. Specialmente con le sue conferenze, gli esercizi spirituali e le sue profonde ed entusiasmanti lezioni ai Corsi di Cultura Cattolica dei quali fu un appassionato ed affascinante animatore e da cui ebbe poi origine la Università Cattolica.
Con queste varie attività svolse un efficacissimo apostolato che ha lasciato un indelebile ammirato ricordo, come testimoniano le commosse riconoscenti espressioni scritte da uno dei più noti sacerdoti argentini don Manuel Moledo. “Sapeva gettare ponti sopra gli abissi”, così il Moledo caratterizzava la sua capacità di conquistare a Cristo anime lontane, affascinandole con la sua eccezionale cultura, profonda spiritualità e l’amore a Cristo e alla Croce che traspariva in ogni suo rapporto con gli altri. Ma la sua anima, sempre più rapita nell’amore di Dio, sconfinava già nel luminoso regno della mistica. Sempre più tormentato dai dolori fisici, ma sempre cordialissimo e fine nel tratto, egli proseguiva le sue segrete offerte di sangue al Signore, in penitenze inimitabili, permesse eccezionalmente dal suo confessore, il P. Andrea Doglia S.J.
Nel gennaio 1942 fu improvvisamente inviato a Santiago del Cile, come Incaricato d’Affari ad interim mostrando anche lì grande zelo e competenza nei doveri del suo incarico insieme con la generosa dedizione all’apostolato in vari ambienti dove conquistò tante anime.
Scrisse a Santiago nel Diario: “Non ti chiedo che la terra ove mi inviò la Tua Provvidenza mi germini rose: Ti chiedo solo che mi doni le spine della Tua Passione… e che di sotto le spine germini una spiga a me invisibile…”. E anche in Cile proseguì le sue mirabili offerte di penitenza: indimenticabili le flagellazioni con cui impetrò che non fosse approvata la proposta di legge dei radicali per introdurre il divorzio in Cile e quella con cui, durante la Settimana Santa si univa alla Passione del suo Signore, una volta di giorno ed una di notte, mentre era intento ad organizzare, partecipandovi con ineccepibile brillantezza, i festeggiamenti per l’insediamento del nuovo Presidente Cileno.
E proprio in Cile tracciò la sua mirabile Preghiera scritta con il sangue. Del resto, in una commossa rievocazione di alcuni suoi amici cileni, leggiamo di lui come del “sapiente conoscitore profondo della S. Scrittura, dello psicologo penetrante e guida di anime, dell’apostolo di Cristo e – perché non dirlo?- del santo che permeò la nostra terra cilena col profumo squisito delle sue eccelse virtù”.
Nel Luglio del 1942 ritornò a Buenos Aires riprendendo tutte le sue attività. Presentiva stranamente vicina la sua fine ed intensificò il suo generoso darsi, in una splendida crescita di amore a Dio e alle anime. Infatti nel novembre, fra tormenti indicibili per una irreversibile peritonite, che egli copriva con una serena incredibile pazienza, assistito dal Nunzio e da vari amici, dando a tutti la testimonianza di una esemplare preparazione al grande incontro con il Maestro, a meno di trentotto anni, offrì per la Chiesa, per il Papa e per l’Opera la sua vita, che chiuse cantando con voce angelica – lui che non aveva mai saputo cantare – il suo Vexilla Regis e dichiarando: Non pensavo che fosse così bello morire e morire giovane. Le sue ultime parole: Tutto per Te, Signore!
Egli fu dapprima sepolto nel cimitero della Recoleta a Buenos Aires, ma la sua fama di santità, persistente e sempre crescente, portò a chiedersi per lui la sepoltura privilegiata in una Chiesa. Tra il trionfo di popolo e la commozione generale avvenne la sua prima traslazione il 13 settembre del 1949 quando trovò riposo nella Chiesa Regina Martyrum dei suoi cari Gesuiti. La lapide che vi fu apposta conchiude: “Sacerdote a pochi paragonabile, godi della pace di Cristo”.
Nel maggio 2007 la Familia Christi è riuscita, dopo non poche fatiche, ad esaudire la volontà testamentaria di don Giuseppe, ed a ricondurre a Roma le sue spoglie mortali. Esse sono oggi provvisoriamente custodite dalla Postulazione francescana della Provincia Romana in attesa di una collocazione definitiva.
La sua fama di santità è rimasta vivissima e vasta, e cresce ancora per il ricordo affettuoso e devoto che ne conservano la “Familia Christi” (Associazione Vittorio e Tommasina Alfieri), e quanti a lui si avvicinano conoscendolo attraverso la lettura dei suoi sorprendenti scritti.