In memoria di Mons. Canovai, da L’Osservatore Romano, novembre 1944
Eccoci al secondo anniversario della morte di Mons. Giuseppe Canovai: il novembre 1942. Quando i numerosi scritti di Mons. Canovai, in cui la più trasparente sapienza delle cose dello spirito si accompagna allo slancio più devoto verso le anime, verranno pubblicati (e si sta ora raccogliendoli ed ordinandoli) sarà possibile una messa in rilievo piena di questo Sacerdote del Signore, del suo intimo segreto di raccoglimento, di penitenza e di immolazione e della fecondità della sua breve vita, corsa più che camminata nell’ascesa a Dio.
Ma intanto i moltissimi che gli furono amici e tutti quelli che egli beneficò con la comunicazione serena, umile e gioconda del divino che lo ricolmava, sostano presso di lui in meditazione ultissima ed in venerazione profonda.
Mons. Canovai non morì in Italia; la sua fine terrena è aureolata dal chiarore intenso di un sacrificio, per lui vivissimo, la lontananza dalla sua Roma che egli naturalmente ed apostolicamente amava e dai ministeri molteplici cui si era dedicato sin dalla sua prima giovinezza sacerdotale. Egli morì a Buenos Aires dove si era recato docile alla mano conducente di Dio nel dicembre del 1939 Uditore di quella Nunziatura Apostolica.
Dal piroscafo scriveva nel viaggio di andata “A mattina, tra le brune scorgo per la prima volta le coste americane… sono subito sceso in cappella a pregare perché Dio benedica il mio arrivo su questa terra di lavoro e di sacrificio per la quale mi sono distaccato da tutto ciò che ho amato…Ah! la partenza! è uno strappo all’anima, ma quanto fa bene, come si sente Cristo. Dio, la piccola Ostia bianca l’unica patria, il nostro vero unico vivere!…sento che la mia intensità di vita non si rallenta mai e ne benedico il Signore…guai a chi si ferma. Non importa quanto si vive, ma quanto intensamente si vive: consumarsi sempre nella donazione, nella preghiera, nel lavoro e non sostare che in Cielo!”.
Per tre anni, frammezzati dai sei mesi nei quali fu a Santiago del Cile Incaricato di Affari ad interim, Mons. Canovai portò nella vita cattolica della capitale argentina la stessa infuocata spinta a Dio che aveva portato nell’ambiente romano del 1931 quando a 26 anni era stato consacrato sacerdote.
Scriveva: “Il Sacerdozio è una offerta continua dell’anima, delle sue risorse, delle sue forze, di quanto ha di meglio per il servizio del Signore, uno stato di offerta vissuto e quindi una preghiera, una donazione interiore silenziosa e nascosta, è un darsi come il Maestro si è dato…Come grandeggia nell’anima, come si solleva in noi lo stesso lavoro intimo della vita interiore quando sentiamo farci per misericordia di Dio una fonte che vive dell’Unica Fonte, una donazione dell’Unica Acqua a cui qualche piccolo della terra possa dissetare la sua sete di Dio e la sua necessità di perdono”.
Come in Italia era passato da un apostolato all’altro con l’unica fissa ricerca del regno di Dio nella anime, prodigandosi nell’assistenza ai giovani, nella direzione delle coscienze, nella illuminazione delle intelligenze (ed era maestro per coltura, dottrina e dono di parola convincente e trascinante) così fece a Buenos Aires, riuscendo a trovar tempo oltre l’intensissimo lavoro del suo alto ufficio, superando le difficoltà della sua non buona salute. “Sono andato a celebrare in una parrocchia del suburbio dove vado alcune volte. Non si può immaginare la povertà e la miseria di questi quartieri periferici in cui si affolla una popolazione cosmopolita, miserabile e sovente nell’indigenza e nell’abbrutimento…che gioia commentare a quella povera folla di anime la parola di Gesù”.
Altrove: “Ieri sera dopo una riunione dei miei giovanotti – tra cui alcune della più belle intelligenze del laicato cattolico argentino – sono tornato a casa con una vera sete della più silenziosa preghiera e questa mattina la mia meditazione e la mia Messa mi hanno lanciato alle opere quotidiane – nonostante il terribile male che avevo – come una palla di cannone!”.
Umilissimo pur tra i vasti successi e le più consolanti rispondenze ai suoi apostolati, inviando il suo pensiero in Italia a tutti incessantemente chiedeva che si pregasse “per questo povero prete lontano”.
La morte, a 38 anni, non lo sorprese: la presentiva, pur nella vitalità vivacissima e giocondissima della sua natura “Che il Signore butti tutta la mia povera legna nel Suo fuoco, la faccia ardere… e mi affretti alla meta cui solo anèlo!”.
Venne quasi improvvisa cogliendolo in lavoro sul campo, fissandolo in Dio nell’eccezionale grado di amore che aveva raggiunto. Venne proprio come egli l’aveva chiesta giovanetto “Signore, fammi morire come Francesco Saverio lontano da tutto ciò che mi è caro, in una solitudine piena affinché Tu ed i Tuoi angeli siate unicamente vicino a me”.
Soffrì senza un lamento, era abituato dall’adolescenza alla penitenza portata nascosta tra i compagni di università, celata sotto il sorriso. Non l’aveva lasciata mai e fin sul tavolo operatorio ne furono scoperti, con meraviglia, i segni.
Attese la morte pregando, offrendo la sua vita, cantando le ultime strofe del Vexilla Regis, in una unione col suo Dio che traspariva del volto raggiante. I molti che gli erano vicini, con l’affezionatissimo suo Nunzio, ne riportarono profondissima impressione: Mons. Canovai chiuse la sua giornata terrena nelle più splendide luci dell’Amore divino.
La Madonna lo volle vicino in morte come lo aveva tenuto vicino a Sé, in immacolato candore, in vita. Fu seppellito nella cappella del clero che è nel giardino circostante la basilica di Nostra Signora del Pilar. (A maggio 2007, si è proceduto alla ricognizione canonica dei resti mortali di Mons. Canovai in Argentina, ed alla loro successiva traslazione a Roma ndr.)
Il giorno dopo la partenza per l’America, nel gustato e cocente sapore del distacco, egli scriveva: ”Sento le mani della Vergine fatte luminose nella Croce del Figlio protendersi a benedire e consolare il mio lungo andare”.
M. A.
“Don Giuseppe Canovai apostolo della gioventù”, da Avvenire
Da L’Osservatore Romano: “La voce di qualcun altro”
“Ricordando Mons. Canovai”, da L’Osservatore Romano, 11 novembre 1943
da La Voce di Ferrara: Don Giuseppe Canovai: “In Cruce Oro et Pugno”